Grazie al De re coquinaria o L’arte culinaria di Apicio (I sec. d.C.), oggi possiamo sapere come mangiavano gli antichi romani. La cena era considerata il pasto più importante e iniziava già nelle prime ore del pomeriggio: cominciava con l’antipasto a cui si aggiungevano minimo tre portate e un dessert. Una caratteristica tipica della cucina dell’antica Roma era l’accostamento di sapori contrastanti. I cuochi romani usavano mimetizzare i cibi che dovevano ogni volta stupire e ingannare i commensali: come scrive lo stesso Apicio provare a indovinare da quale elemento fosse costituito un determinato piatto, era un modo per allietare le cene.
Per i ceti più abbienti, di cui certamente faceva parte anche Plinio il Giovane, la cena prendeva la forma di un vero e proprio convivium e gli invitati potevano adagiarsi sui triclinium: i divani a tre posti, collocati intorno alla tavola.
Tra i piatti preferiti, gli antichi romani amavano le salse ed erano grandi appassionati di vino, consumato diluito con miele e spezie, impiegato sotto forma di mosto cotto in diverse preparazioni e come dolcificante.
In tutte le tavole, da quelle più umili a quelle patrizie, il piatto principale era la puls, una polenta ottenuta con farina di farro cotta in acqua e sale a cui si potevano aggiungere le fave oppure altre tipologie di legumi, cavoli, cipolle, formaggio. La puls costituiva l’alimento principale in quanto il pane non era ancora diffuso prima del II secolo a.C.