La Pinacoteca Comunale è ospitata nel cinquecentesco Palazzo Vitelli alla Cannoniera, realizzato tra il 1521 e il 1543 per celebrare le nozze tra il condottiero Alessandro Vitelli e la moglie Angela Rossi dei conti di San Secondo Parmense. In seguito a vari passaggi di proprietà, nel XX secolo l’edificio fu acquistato dall’antiquario Elia Volpi che lo donò alla città nel 1912, dopo averlo restaurato e aver allestito al suo interno la pinacoteca e la biblioteca civica.
La sobria architettura rinascimentale del Palazzo è arricchita sulla facciata verso il giardino da un’elegante decorazione a graffito realizzata da Cristofano Gherardi da Borgo Sansepolcro, detto il Doceno, su probabile disegno di Giorgio Vasari. Al Gherardi stesso spetta parte dell’apparato decorativo delle sale interne, alla cui realizzazione partecipò anche Nicola Filotesio noto come Cola dell’Amatrice. La decorazione ad affresco, soprattutto a tema profano, sottolinea gli interessi culturali e l’attento mecenatismo della famiglia Vitelli.
Suddivisa in ventisei sale, cui si aggiungono ulteriori spazi espositivi dedicati a mostre temporanee, la Pinacoteca custodisce opere dal III al XX secolo, in gran parte acquisite dopo il 1860 in seguito alla soppressione di istituzioni ecclesiastiche e all’acquisizione al demanio del relativo patrimonio artistico. La ricca raccolta testimonia la vitalità artistica che nei secoli ha contraddistinto Città di Castello, al centro di importanti vie di comunicazione e di scambi culturali tra aree diverse, come la Toscana, l’Umbria e le Marche. Tra gli artisti forestieri sono presenti Spinello Aretino, Antonio Vivarini, Lorenzo Ghiberti, Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, Andrea Della Robbia, Raffaello, Raffaellino del Colle, Pomarancio e Santi di Tito. La Pinacoteca custodisce preziosi arredi provenienti dalle chiese e dai conventi cittadini tra i quali meritano una particolare menzione il gruppo di stalli gotici, intagliato e decorato a tarsie, attribuito alla bottega del più noto legnaiolo fiorentino del primo Quattrocento, Manno di Benincasa Mannucci, l’armadio da sagrestia firmato e datato 1501 di Antonio Bencivenni e il grande sarcofago intagliato e dorato, che custodiva il corpo della Beata Margherita.
In ambienti inaugurati nel 2006 trovano sede quattro importanti donazioni di arte contemporanea: la gipsoteca dello scultore tifernate Elmo Palazzi (1871-1915), una collezione di bronzi realizzati dal citernese Bruno Bartoccini (1910- 2001), la donazione Giorgio Ascani (1926-2008), in arte Nuvolo, costituita da quindici opere dell’artista donate al Comune di Città di Castello dalla sua famiglia nel 2012 e la collezione Ruggieri, , donata nel 1986, che raccoglie una ventina di quadri di alcuni tra i più importanti artisti italiani del Novecento come De Chirico, Mafai, De Pisis, Dottori e Carrà.
(*) In occasione della mostra “Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo”, a cura di Laura Teza e Marica Mercalli (30.10.2021-9.1.2022), è stato introdotto al piano nobile del museo un percorso dedicato alle quattro opere – Pala Baronci, Gonfalone della Santissima Trinità, Crocifissione Mond e Sposalizio della Vergine – del periodo tifernate (1499-1504) di Raffaello Sanzio e al dialogo a distanza tra Raffaello e Luca Signorelli che a Città di Castello ha lasciato insigni dipinti tra i quali la pala Il Martirio di San Sebastiano.
L’incontro, mai avvenuto in vita, tra i due esponenti del Rinascimento italiano diventa possibile cinquecento anni dopo nella Pinacoteca di Città di Castello dove il Gonfalone della Santissima Trinità di Raffaello dialoga per la prima volta vis-à-vis con il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli.
Il 10 dicembre 1500 Raffaello firma il contratto a Città di Castello per quella che è considerata la prima opera tifernate: nel documento per la commissione l’artista viene chiamato “Magister Rafael”. Insieme al marchigiano Evangelista da Pian di Meleto, uomo di fiducia della bottega di suo padre Giovanni Santi, si impegna con Andrea Baronci, mercante di lana e plenipotenziario della famiglia Vitelli, per la sua cappella in Sant’Agostino.
L’opera in questione è l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino. Questa imponente tavola, alta poco meno di quattro metri, si rovinò in seguito al terremoto del 1789 e fu divisa frammenti oggi conservati alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, al Museo di Capodimonte di Napoli, al Louvre di Parigi.
La Pala Baronci dopo Raffaello
In seguito al terremoto del 1789 la chiesa di Sant’Agostino e la pala di Raffaello subirono ingentissimi danni e i frati in accordo con i Domenichini Trovi, allora titolari dell’altare, decisero di vendere a Pio VI il dipinto, ormai ridotto in frammenti, a patto però che una copia venisse collocata nella nuova cappella, una volta terminati i lavori di restauro.
Fu incaricato del lavoro il pittore romano Ermenegildo Costantini (1731-1791) che realizzò l’opera qui esposta che risulta di dimensioni minori rispetto all’originale dovendosi adattare alle nuove misure della cappella.
La ricostruzione virtuale della pala Baronci è a cura del Museo Galilei.
In questa sala si realizza l’incontro impossibile tra Signorelli e Raffaello. Tra la Pala del San Sebastiano e lo Stendardo processionale della Santissima Trinità, l’unica opera mobile di Raffaello rimasta in Umbria.
Il Gonfalone nella Sala della contemplazione dialoga vis-à-vis con il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli, realizzato per la cappella Brozzi in San Domenico nel 1498 circa.
Questi due dipinti sono legati, idealmente, dallo sguardo di Raffaello che li aveva congiunti insieme: in un disegno, ora all’Ashmolean Museum di Oxford il pittore studia la posa del Dio Creatore della Creazione di Eva del Gonfalone e copia il balestriere del Martirio, visto di spalle.
L’ascesa del giovane Raffaello è rapida. A Città di Castello riceve commissioni da famiglie solidali e alleate dei Vitelli.
Alla potente famiglia di Domenico Gavari va ricondotta la commissione della Crocifissione in San Domenico. Ormai il giovane artista dialoga apertamente con i principali pittori suoi contemporanei come Perugino e Pintoricchio, cercando con loro un confronto, in una gara sottile di elaborazione dei loro modelli, sviluppati con grande maturità inventiva.
La Crocifissione Gavari dopo Raffaello
Il dipinto fu venduto dalla famiglia Gualterotti di Città di Castello, che aveva acquisito la Cappella Gavari, al Cardinale Fesch nel 1808 per 2500 scudi. Dopo vari passaggi, pervenne a Ludwig Mond per poi entrare nel 1924 nelle collezioni della National Gallery di Londra, dove attualmente si trova esposto, in seguito al lascito del suo ultimo proprietario.
L’eredità artistica di Raffaello e l’aurea del suo genio lasceranno un’impronta indelebile a Città di Castello per lunghi secoli: ne sono testimonianza anche i due dipinti di Francesco Tifernate esposti nella Sala.
Nel 1504, alla vigilia della sua partenza per l’Umbria alla volta di Firenze, Raffaello lascia sull’altare di Filippo Albizzini in San Francesco lo Sposalizio della Vergine. Il dipinto rappresenta una svolta nella sua carriera. Notoriamente l’impostazione dell’opera tifernate si misura, in un confronto voluto e serrato, con l’analogo soggetto che Pietro Perugino stava dipingendo per il Duomo di Perugia.
Il quadro diventa rapidamente un paradigma dello stile classico del Rinascimento, che consegna Raffaello alla storia.
Lo Sposalizio dopo Raffaello
Lo Sposalizio rimarrà sull’altare Albizzini fino al gennaio del 1798, quando fu regalato dalla municipalità tifernate al generale Giuseppe Lechi di Brescia, comandante delle truppe cisalpine. Passerà poi nella collezione milanese di Giacomo Sannazaro della Ripa, in quella dell’Ospedale Maggiore per approdare poi nel 1806 nella Pinacoteca di Brera, dove tuttora si conserva.
Si ringraziano per la collaborazione il prof. Filippo Camerota e l’arch. Benedetta Rossi
Il disegno architettonico del Tempietto dipinto da Raffaello nell’opera dello Sposalizio della Vergine denota la perfetta conoscenza di Raffaello della tecnica prospettica e la straordinaria accuratezza del giovane maestro nello studio della “composizione architettonica” dell’opera.
I lati dell’edificio inclinati a 45 gradi convergono verso due punti simmetrici sulla linea d’orizzonte, che indicano la distanza di osservazione, pari a una volta e mezza la base del quadro prospettico.
Le diagonali dei riquadri del pavimento, anch’esse orientate a 45 gradi, indicano invece un punto di vista più lontano, pari a 2,75 volte la base del quadro.
Questa incongruenza – solitamente le prospettive si disegnano e si guardano da un solo punto di vista – tradisce la volontà del pittore di ottenere la migliore visualizzazione possibile dello spazio urbano rappresentato.
Una tale licenza prospettica evidenzia la conoscenza di Raffaello delle tecniche scenografiche che, sulla scia di Bramante, venivano messe a punto proprio a Urbino, negli anni della giovinezza del maestro e applicate a Città di Castello nel dipinto dello Sposalizio.
Si ringraziano per la collaborazione il prof. Filippo Camerota e l’arch. Benedetta Rossi
(*) Testi adattati da “Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo. Visita virtuale” di Francesca Mavilla. Supervisione a cura di Francesca Mavilla e Marta Onali. Si ringrazia per la collaborazione Silvia Palazzi
Pinacoteca Comunale – Audioguida
Sala Nuvolo. Dal 2015 la sezione Arte Contemporanea della Pinacoteca Comunale ospita “Sala Nuvolo”, il primo allestimento prevedeva solo otto opere degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 2018 l’Archivio Nuvolo propone l’esposizione di tutte e quindici le opere donate dalla famiglia Ascani più una inedita di proprietà del Comune, acquistata a fine anni Cinquanta quando, incoraggiato dall’importanza che Città di Castello stava assumendo nel panorama artistico del Dopoguerra, pensava già a una Galleria d’Arte Moderna comunale. Seppur mantenendo gli stessi spazi, questa prima riorganizzazione permetteva al visitatore di avere una prospettiva completa del lavoro del Maestro Nuvolo e dell’evoluzione che, la sua ricerca e la sua tecnica serigrafica, ha avuto da inizio anni Cinquanta con le prime Serotipie, a metà di quelli Novanta con Aftermandelbrot e Genesi.
E’ stata inserita nell’esposizione un’altra opera del Comune molto importante sia per dimensioni che per storicità; Senza titolo (Scacco), donato da Nuvolo all’amico Aldo Riguccini De Rigù, anche lui importante artista tifernate, per il suo studio e poi esposta nella sede dell’(ex) Ente Autonomo per il Turismo, già nel 1957. La nuova sala e la nuova collaborazione tra Archivio e Municipio per progetti futuri è l’inizio di una programmazione di eventi che ci accompagneranno al 2026, anno del Centenario della nascita del Maestro Nuvolo”.
La danza notturna di Bruno Bartoccini
La nuova sala dedicata a Bruno Bartoccini (1910 – 2001) raccoglie diciotto opere donate al comune di Città di Castello dall’artista, tra il 1984 e il 1986. La scelta di collocare queste sculture sotto le logge vetrate della Pinacoteca comunale, assolve a una idea curatoriale che vuole privilegiare due aspetti: da un lato una maggiore fruibilità di uno spazio museale fino ad ora poco utilizzato come sala espositiva e che, con questo nuovo allestimento, ritrova di fatto la centralità che merita valorizzando il connubio tra scultura contemporanea e architettura rinascimentale.
Dall’altro, l’obiettivo è quello di rendere l’opera di Bartoccini maggiormente fruibile, all’interno e all’esterno del museo valorizzandola in toto. Con questo nuovo allestimento si è venuta a creare, infatti, un’emanazione stessa della pinacoteca che travalica i confini tradizionali dell’edificio, rendendo l’opera dello scultore fruibile anche da via della Cannoniera all’esterno del museo. Questo allestimento ha permesso altresì di rileggere le sue opere per scoprire come la dinamicità delle figure di Bartoccini, sia un elemento caratterizzante della sua ricerca che va letta come sequenza narrativa pressoché unitaria, valorizzata dall’esterno soprattutto in notturna con le luci che trasformano le singole opere in un insieme omogeneo quasi da sequenza cinematografica.
Egli “ha il merito di comporre con pose vive, con pose cioè, che non sono mai create nella fissità, nella immobilità, nella staticità di un modello, ma che egli coglie invece nel pieno del movimento di esso, in un movimento di appropriazione predatrice, che è al limite tra la conclusione di un precedente movimento e l’inizio del successivo”.
Armando Nocentini notava con acume questa caratteristica di Bartoccini già nel 1984, in questo modo l’opera, letta nel suo insieme, ci fa conoscere la predilezione dello scultore per poche selezionate modelle, un paio o poco più, che ricorrono continuamente nei suoi bronzi e lascia emergere non solo le capacità di sopraffino modellatore che appartengono all’accademico, capace di padroneggiare le tecniche tradizionali della scultura, ma soprattutto permette di visualizzare l’evoluzione di un racconto, forse involontario per l’artista ma che a noi oggi appare evidentemente chiaro e irresistibilmente attraente.
Infatti, tutti i soggetti rappresentati entrano in relazione attraverso un dialogo serrato di forme e movimenti, generando una scena dal forte sapore intimo e naturalistico, che vede in particolare un soggetto femminile immortalato in quattro momenti e che culmina con lo stesso soggetto che prende la scena ballando al centro della stanza. Nel mentre la danza notturna ha inizio, lo sguardo di una malinconica coetanea intercetta questo insolito ballo e si avvicina con curiosità verso di lei guardandola con stupore e ammirazione.
La scena ha un sapore mitologico e campestre grazie alla presenza a terra di simpatici animali da cortile che, ignari di tutto, continuano con le loro abituali attività. In questo modo lo spazio entra nella realtà con un sapore quotidiano. Gli sguardi di fanciulli, quasi pietrificati alla vista della scena e la bonaria indifferenza di un pensionato a cui fa da contraltare la quiete apprensione di una gestante, chiudono la narrazione.
In queste opere emergono le caratteristiche migliori dello scultore, la sua capacità plastica di modellare i nudi, ma allo stesso tempo di dare dinamicità ai corpi, mai statici ed anzi desiderosi di rompere quella incessante staticità che la materia gli impone.
Lorenzo Fiorucci
Storico Critico dell’Arte
Nella sala degli eventi, inaugurata di recente, la prima mostra temporanea dal titolo “Collezionismo tifernate. Pistoletto, Dottori e gli altri del Lascito Pillitu”, a cura di Eleonora Reali, che espone una selezione di ceramiche, dipinti e serigrafie provenienti dallo Studio Meroni Pillitu, donato al comune nel 2013, offrendo un interessante spaccato dell’arte del Novecento e del peculiare gusto collezionistico di Paola Pillitu, istitutrice del lascito. Nell’esposizione, inclusa nel percorso di visita, opere di Pistoletto, Dottori, Schifano, Derigù, Abbozzo, Cagli.
VIRTUAL TOUR ALLESTIMENTO ATTUALE
VIRTUALE TOUR ALLESTIMENTO PRECEDENTE
(realizzato da Polo tecnico Franchetti-Salviani di Città di Castello – Corso Geometri)
Gerardo Dottori a Città di Castello
Lorenzo Fiorucci
In occasione dei 140° anniversario dalla nascita di Gerardo Dottori (1884 – 1977), la Pinacoteca di Città di Castello omaggia il padre del futurismo umbro, allestendo la Event Room con alcune delle sue opere legate in vario modo alla città, continuando in questo modo il filone del “Collezionismo tifernate”. Due sono le vie su cui si articola la mostra. Da un lato le frequentazioni di Dottori in Alta Valle del Tevere e quindi il rapporto con un altro futurista: Alessandro Bruschetti, che dal 1944 ha alloggiato a Città di Castello, ospitato nel palazzo Lignani Marchesani.
Proprio in questa dimora Dottori è venuto più volte in visita, contribuendo a stimolare la ricerca del suo allievo più promettente, che già dagli anni Trenta diventa protagonista, accanto al maestro, nello sviluppo dell’Aeropittura. Un legame forte all’insegna di Dottori è stato inoltre quello tra Bruschetti e il sacerdote perugino Nello Palloni, anche egli artista, che ha contribuito a diffondere opere del maestro in alcune famiglie tifernati. Frequentazioni altotiberine approdano anche nella vicina Sansepolcro, dove ancora oggi è custodito nel Museo civico Venezia in festa, opera del 1934 donata da Dottori all’Istituto d’Arte Biturgense, motivo in più per considerare l’Alta Valle Tiberina una vera “Valle museo”.
Dall’altro lato si è considerata la presenza espositiva del maestro a Città di Castello, a partire dalla prima mostra organizzata nel 1966 dalla Galleria Il Pozzo, dal pittore Novello Bruscoli, a cui presenziò lo stesso Dottori. È questo il primo contatto pubblico con il collezionismo tifernate, replicato nel 1987 quando Bruscoli volle omaggiare il maestro a dieci anni dalla scomparsa. Cinque anni prima si deve alla Galleria delle Arti di Luigi Amadei, l’esposizione di alcune opere inedite, come riporta Chiara Sarteanesi nel testo di presentazione di quell’evento, e poi ancora nel 2004, nella stessa galleria, il maestro perugino è in dialogo con il Genius loci Alberto Burri. In questa occasione viene esposto il Ritratto di Ufficiale del 1916, esempio di ritorno alla figurazione.
Tale tendenza segna un po’ tutta la compagine futurista che, scossa dalla tragedia bellica, accantona, seppure momentaneamente, il presupposto dinamico alla base del futurismo. La parentesi successiva per Dottori è l’Aeropittura, avallata dal manifesto omonimo, firmato nel 1929 da Filippo Tommaso Marinetti, di cui il Nostro è il maggiore interprete. Accanto a Studi su forme e colori, Dinamismi di Forme e Arabeschi dinamici, tipicamente futuristi, sono esposti i paesaggi e le vedute del Lago Trasimeno. Quest’ultimi soggetti ricorrenti attrarranno collezionisti tifernati come Pillitu, Ruggieri ed altri, che nel tempo si sono lasciati ammaliare dalle spregiudicate vedute aeree e dalla vivacità di colori cangianti e atmosferici di cui Dottori è indiscusso maestro.
GERARDO DOTTORI
Perugia 1884-1977
Gerardo Dottori nacque a Perugia l’11 novembre del 1884 ed era primo di quattro figli. Proveniva da una famiglia di modeste condizioni, suo padre Ezio era un artigiano materassaio e sua madre Colomba Luisa Giambini morì presto lasciando i figli in tenera età. Terminate le scuole elementari iniziò a seguire i corsi propedeutici serali presso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, mentre di giorno lavorava come commesso dal restauratore Mariano Rocchi. Tra il 1904 e il 1907 realizza le sue prime opere come Fanciulla Umbra (1904), opera dagli accenti divisionistici.
Nel 1909 si diploma all’Accademia e poco dopo si trasferisce a Milano per cercare fortuna, «quel soggiorno diventa occasione per approfondire la conoscenza della pittura divisionista e sarà fondamentale per l’evoluzione del suo linguaggio pittorico» . Nel 1908 a Firenze incomincia a frequentare gli intellettuali che dirigevano la rivista critica “La Difesa dell’Arte”. Nel 1909 inizia a decorare le mura di alcuni edifici religiosi in Umbria come ad esempio quello della chiesa di Santa Maria Assunta a Monte Vibiano Vecchio. Proprio in questo contesto l’anno successivo nasce l’opera più importante per i successivi sviluppi futuristi ossia Esplosione di rosso sul verde (1910).
Nel 1912 Dottori aderisce alla corrente del Futurismo e partecipa attivamente alle attività del gruppo presso il Caffè “Mezzabestia” di Perugia, «di questo periodo i primi studi di motociclisti, ciclisti, ritmi astrali, esplosioni che esaltano una visione dinamica e sintetica del movimento». Nel 1914 organizza una serata futurista al Politeama Turreno di Perugia con la presenza di Marinetti ed altri esponenti del movimento futurista. Il 1915 segnò l’inizio della Grande Guerra per l’Italia e Dottori, come molti altri, fu costretto a partire per il fronte, ma continuerà a dipingere con i mezzi che aveva a disposizione.
Poco dopo il suo ritorno dalla guerra fonda il periodico “Griffa!” insieme a Presenzini Mattioli e intensifica i rapporti con Marinetti , tanto che fu presente anche all’inaugurazione del ristorante umbro Altro Mondo, allestito da Dottori con una vera ambientazione futurista. Nel 1926 a Roma incomincia l’attività di decoratore e proprio in questo periodo che risale la sua opera più importante il Trittico della velocità, elogiato dallo stesso Marinetti, che insieme alla decorazione dell’idroscalo di Ostia del 1928 segneranno l’affermazione dell’aeropittura.
Nel 1932 Dottori vinse il Premio del Ministero delle Corporazioni con Anno X, ed insieme a Enrico Prampolini sono gli unici futuristi a collaborare per la mostra della Rivoluzione fascista a Roma. Nel 1939 torna a Perugia e tra il 1936 e il 1938 insegna all’Accademia di Belle Arti per poi diventarne il direttore nel 1940. Nel 1941 scrisse il Manifesto umbro dell’aeropittura, «a sua dichiarazione di poetica in cui specifica l’originalità del proprio linguaggio aeropittorico, pubblicato nella prima monografia dell’artista prefata da Marinetti per le Edizioni futuriste di poesia».
Nel 1951 a Milano ci fu la prima mostra personale, poiché alcuni artisti che facevano parte della corrente futurista per molto tempo vissero una condizione di isolamento. Nel 1957 donò al Comune di Perugia cinque sue opere per dare vita al nucleo della futura Galleria d’Arte Moderna. Nel 1960 Dottori conobbe Tancredi Loreti, un collezionista d’arte, Il quale valorizzerà la figura e le opere di Dottori. Nel 1972 Dottori donò Esplosione di rosso sul verde alla Tate Gallery di Londra, mentre nel 1974 a Trieste si tenne una grande mostra antologica per i suoi novant’anni. Dottori morì a Perugia il 13 giugno del 1977 nella sua casa di viale Pellini.
Gerardo Dottori a Città di Castello
Raffaello giovane e Città di Castello, Città di Castello 1983;
F. F. Mancini, Palazzo Vitelli alla Cannoniera, voll. 1-2, Perugia 1987-1988;
R. Ferrazza, Palazzo Davanzati e le collezioni di Elia Volpi, Firenze 1994;
T. Henry, Gli esordi di Raffaello tra Urbino, Città di Castello e Perugia, catalogo della mostra Città di Castello, Palazzo Vitelli alla Cannoniera, 24 marzo – 11 giugno 2006, Perugia 2006;
C. Zappia, Il Novecento a Palazzo Vitelli alla Cannoniera, Città di Castello 2009;
T. Henry, Luca Signorelli a Città di Castello: la vita, l’opera e la scuola in alta valle del Tevere, Città di Castello 2013;
A. Delpriori, Prima e dopo Raffaello: Città di Castello e il Rinascimento, Perugia 2019.
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